Arci, Ics e Asgi, insieme ad altre organizzazioni europee, depositano un esposto alla Commissione Ue contro il governo italiano

20-01-2005

 
Violazioni ai danni dei più di mille sbarcati a Lampedusa nella prima settimana dell'ottobre 2004
 

Nella prima settimana di ottobre del 2004, più di mille stranieri sbarcati a Lampedusa furono espulsi dall’Italia e trasportati in Libia sulla base di un accordo contro l’immigrazione clandestina recentemente concluso tra i due paesi, ma che non figura tra gli Accordi di riammissione firmati dall’Italia con paesi terzi.

Gli stranieri, rinchiusi nel Centro di detenzione di Lampedusa, in condizioni materiali deplorevoli, senza l’autorizzazione a contatti con l’esterno, privi di informazioni sui loro diritti, nel giro di quattro giorni furono imbarcati su aerei e spediti in Libia.

Oggi, un esposto sottoscritto da varie organizzazioni europee - in Italia da Arci, Ics (Consorzio italiano di solidarietà) e Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) – contro il governo italiano verrà depositato presso la Commissione Ue che, con la Corte di Giustizia, ha anche il compito di vigilare sul rispetto dei diritti comunitari in tutti gli stati membri.

Vi si chiede di avviare un procedimento di infrazione contro il governo italiano per violazione del diritto di difesa e del principio del contradditorio; violazione del divieto di infliggere trattamenti inumani e degradanti; violazione del divieto di praticare espulsioni collettive; violazione del principio di non respingimento.

Se da un lato dunque si chiede alla Commissione Ue di agire perché nessuno stato membro possa non ottemperare ai propri obblighi in materia di immigrazione e asilo, dall’altro si auspica che il respingimento e le espulsioni collettive siano definitivamente cancellate dalle politiche migratorie della Ue.

Di seguito il testo dell’esposto che documenta le singole violazioni e le norme internazionali cui fanno riferimento.


Oggetto : protesta contro il governo italiano per violazione del diritto comunitario

Signor Presidente Barroso

Ci permettiamo di segnalarle i fatti che riportiamo di seguito, che, a nostro parere giustificano sanzioni contro il comportamento dle governo italiano.

Nel corso della prima settimana di ottobre 2004, più di 1000 persone sono sbarcate da imbarcazioni precarie sull’isola di Lampedusa, nel sud della Sicilia, aumentando così il numero di candidati all’immigrazione e asilanti già detenuti nel cosiddetto « centro di prima accoglienza », aperto dalle autorità italiane sull’isola.

Venerdì 1 ottobre, il governo italiano ha ordinato l’espulsione di 90 di questi stranieri con un aereo speciale per la Libia. Sabato 2 ottobre, 3 nuovi voli hanno portato più di 300 migranti a Tripoli.

Domenica 3 ottobre, due aerei messi a disposizione dall’Alitalia e due aerei militari hanno consentito l’allontanamento da Lampedusa di altri 400 stranieri.

Giovedì 7 ottobre, 4 aerei militari rispediscono gli ultimi « indesiderati », che molti testimoni hanno visto imbarcarsi con le manette ai polsi. I due primi aerei sono partiti alle 14, gli altri due alle 15 e 15. In totale, secondo quanto dichiarato dal Ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu alla Camera dei deputati l’8 ottobre, più di mille stranieri sono stati espulsi dall’Italia verso la Libia in soli 4 giorni. Sembra che queste espulsioni siano avvenute con la copertura di un Accordo recentemente concluso tra i due Paesi in materia di lotta all’immigrazione clandestina, Accordo che non figura nella lista degli Accordi di riammissione firmati dall’Italia con paesi terzi.

Molti elementi lasciano pensare che queste espulsioni siano state effettuate in condizioni che non permettevano il rispetto di un certo numero di prescrizioni previste dal diritto internazionale.



Durante il soggiorno di queste persone all’interno del « centro di prima accoglienza » di Lampedusa, ai rappresentanti dell’UNHCR, malgrado le richieste ripetute e la legittimità di un loro intervento in presenza di potenziali richiedenti asilo tra i detenuti, è stato impedito l’accesso per molti giorni in un luogo nel quale erano detenuti centinaia di uomini, donne e bambini. Solo dopo che la maggior parte di loro erano già in viaggio per la Libia il responsabile del centro ha consentito l’accesso ai rappresentanti dell’ONU. Giovedì 7 ottobre, il consigliere regionale Lillo Miccichè (Verdi), che aveva chiesto di visitare il centro alle 13.00, si è visto rispondere solo alle 17.00, quando numerosi espulsioni erano già state effettuate. Di fronte al tentativo di quest’ultimo di entrare nell’aeroporto per ritardare la partenza degli stranieri espulsi, le forze dell’ordine lo hanno violentemente respinto, spingendolo a terra. Parallelamente, solo dopo la fine delle operazioni di espulsioni, due senatrici italiane, accompagnate da esponenti della « Rete antirazzista siciliana », hanno potuto ottenere l’autorizzazione a visitare il centro, oramai quasi vuoto. Oltre alle condizioni materiali deplorevoli nelle quali le due senatrici hanno trovato gli stranieri detenuti che hanno incontrato nel centro, hanno potuto costatare che nessuna informazione era stata data a questi, sia sulle ragioni del trattenimento che sull’eventuale accesso alla procedura per la domanda d’asilo. Gli stranieri presenti nel centro, tenuti in condizioni igienico sanitarie e ambietali poco dignitose, erano privi di ogni contatto con l’esterno, se non per telefono. Per i minori presenti non erano previste misure specifiche, e molti di questi erano stati classificati come adulti in seguito a verifiche sommarie, quanto inesistenti, sulla loro età. I visitatori hanno ottenuto tutti testimonianze concordi sul fatto che, ne per il trattenimento ne per l’espulsione degli « indesiderabili », sono state prese in considerazioni le situazioni individuali delle persone, ma che la decisione si basava sulla logica « quanti ne arrivano, tanti vengono espulsi », privando gli interessati di ogni diritto alla difesa, sia per quanto riguarda il ricorso ad un interprete e ad un avvocato, che per la possibilità di un ricorso effettivo contro l’espulsione.

1. Trattamenti inumani e degradanti
Le testimonianze raccolte dai pochi testimoni che hanno potuto accedere al centro durante o immediatamente dopo le operazioni di respingimento, sono sufficientemente concordi e precise da far pensare che le condizioni nelle quali erano stati reclusi gli stranieri durante il periodo incriminato, rientrano nella definizione di « trattamenti inumani e degradanti » vietati dall’art.4 della Carta europea dei diritti fondamentali, così come dall’art.3 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Infatti sono costitutivi di questo tipo di trattamenti : il sovraffollamento (più di 1000 persone in un centro che ne può accogliere meno di 200), le pessime condizioni igieniche, una infrastruttura inadatta alle necessità minime della vita quotidiana (le persone essendo obbligate a dormire per terra, all’aperto, senza lenzuola o coperte), l’uso di metodi coercitivi per costringere le persone ad imbarcarsi sull’aereo (sono state usate le manette in plastica), ai quali si aggiunge l’impossibilità di comunicare con il mondo esterno (sia per problemi di lingua che per l’assenza di una cabina telefonica), l’incertezza legata all’assenza di informazioni sulla sorte delle persone detenute, la paura dell’espulsione, ecc… Tutti elementi che emergono dai rapporti fatti dai visitatori del centro di Lampedusa il 7, 8 e 9 ottobre.

2. Espulsioni collettive
L’articolo 4 del protocollo 4 della Carta Europea dei Diritti Umani e l’articolo II-19-1 della Carta dei Diritti Fondamentali, impediscono le espulsioni collettive. Secondo la Corte Europea dei Diritti Umknai (caso Andric c/Svezia n°45917/99, caso Conka c/Belgio n°51564/99, v. allegato 2), si intende per espulsioni collettive « ogni misura che costringa degli stranieri, in quanto appartenenti ad un gruppo, a lasciare un paese, tranne nel caso in cui tale misura sia presa in seguito e sulla base di un esame ragionevole e obiettivo della situazione particolare di ognuno degli stranieri che formano il gruppo ». Ora, nonostante le autorità italiane abbiano a più riprese sostenuto di aver proceduto ad un esame individuale della situazione di ciascuno degli stranieri accolti nel periodo in oggetto nel centro di Lampedusa e che ognuno di questi è stato identificato, le circostanze del loro soggiorno al centro, così come riportate dalle testimonianze, e soprattutto l’estrema rapidità con la quale l’espulsione di un gran numero di migranti è stata organizzata, rendono questa tesi difficilmente credibile. Da un lato il centro di Lampedusa, centro di prima accoglienza di persone appena sbarcate sull’isola, non è abitualmente predisposto ne equipaggiato per mettere in atto le procedure di identificazione. Gli stranieri sono peraltro informati, fin dal loro arrivo, che l’identificazione non avverrà sul posto, ma negli altri centri dove saranno trasferiti. Dall’altro non si capisce come sarebbe stato possibile, per l’amministrazione italiana, procedere ad un esame individuale, ragionevole e obiettivo, dei dossier e delle situazioni di un migliaio di persone detenuti nell’isola di Lampedusa, in pochi giorni se non, addirittura, in poche ore. Molte associazioni italiane, così come membri del parlamento italiano hanno peraltro interpellato ufficialmente, al momento dei fatti, il governo italiano per conoscere le modalità dell’esame delle situazioni individuali delle persone espulse, nonché la lista delle stesse, recante nazionalità e stato civile completo. Ad oggi non è stata ottenuta alcuna risposta.

Dalle testimonianze emerge che il principale metodo di identificazione sia in realtà limitato ad un esame molto sbrigativo degli stranieri, effettuato sulla base della loro presunta origine (« a vista », per così dire), e delle indicazioni fornite da due persone designate come interpreti. Di questo tri( ??), emergerebbe che la maggior parte delle persone identificate come « d’origine sub sahariana », sarebbero state trasferite in centri di accoglienza siciliani, mentre gli altri, identificati in gran parte come « egiziani », sarebbero stati trattenuti a Lampedusa in attesa dell’imbarco per la Libia. Questi ultimi sono stati peraltro allontanati dal territorio italiano in gruppi di almeno 100 persone per ogni aereo, poiché tra l’1 e il 7 ottobre, più di 1000 persone sono state espulse. I ponti aerei sostenuti con la Libia durante quei giorni, hanno permesso quindi una espulsione « per gruppi » di stranieri.

3. Principio di non respingimento
Questo metodo estremamente sommario di « identificazione » degli stranieri arrivati a Lampedusa ha delle conseguenze dirette sul rispetto del principio di non respingimento, così come previsto dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e dall’art. 33 del Trattato Europeo : « nessuno degli Stati firmatari espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso le frontiere di un territorio dove la sua vita o la sua libertà sono minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un gruppo sociale o alle sue opinioni politiche ». Questo principio di non respingimento è stato, a più riprese, riaffermato dall’Unione Europea come asse centrale della protezione dei rifugiati, sia nella Carta europea dei diritti fondamentali, all’epoca del Consiglio Europeo di Tampere, o nel testo della Comunicazione della Commissione Europea del 21 marzo 2001. Questo principio, se non implica obblighi per gli stati sull’accoglimento della domanda d’asilo, impone in ogni caso l’obbligo di procedere ad un esame individuale, ragionevole e obiettivo delle domande. Come si è appena visto (vedi punto 2), questo esame è stato manifestamente impossibile. Ne risulta che persone che avrebbero potuto chiedere legittimamente la protezione che l’Italia, ratificando la Convenzione di Ginevra e i successivi protocolli, si è impegnata ad assicurare, hanno potuto essere respinti senza che la loro eventuale domanda fosse presa in considerazione. Il fatto che i rappresentanti dell’ACNUR presenti sul luogo non abbiano potuto avere accesso al centro che dopo la partenza della maggior parte dei potenziali richiedenti asilo (vedi sopra) costituisce in tal senso un aggravante.

4. Respingimento verso un paese che non presenta le garanzie minime per la protezione delle persone.

In conformità all’art. II-19-2 della Carta Europea dei diritti fondamentali, « nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste un serio rischio che egli venga sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti. ». Scegliendo di espellere collettivamente degli stranieri verso la Libia, paese che non ha firmato la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, l’Italia si è assunta il rischio di non rispettare le prescrizioni sia di queste disposizioni, che della Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché l’insieme dei testi internazionali di difesa dei diritti umani. Infatti la Libia è stata più volte segnalata per essersi resa responsabile di gravi violazioni dei diritti umani : così riporta il rapporto di Amnesty International « Time to make human rights a reality », (AI MDE 19/02/2043). D’altronde le testimonianze concordano nel dire che la Libia utilizza la pratica di rafles de migrants che si trovano sul suo territorio per chiuderli in campi di detenzione militari particolarmente inumani. Le condizioni carcerarie sono palesemente insostenibili, vengono riportate un gran numero di sevizie di ogni genere, e ogni tentativo di evasione o di ribellione viene risolto con esecuzioni sommarie. Nel suo rapporto, Amnesty International rende conto di gravi violazioni dei diritti umani da parte dello Stato libico, in particolare nei confronti di immigrati e richiedenti asilo, che sono vittime di detenzioni arbitrarie, di processi inesistenti o iniqui, di uccisioni, di sparizioni o torture nei campi di detenzione. Prova ne è la testimonianza di centinaia di Burkinabè, recentemente espulsi verso il paese dì origine, e che assicurano di essere stati detenuti in condizioni inumane, comprendenti tra l’altro privazione d’acqua, di cibo e di cure. Numerosi immigrati eritrei e nigeriani riportano gli stessi fatti dopo essere stati privati dei loro documenti e dei loro beni, e espulsi verso i rispettivi paesi d’origine. Di recente l’organizzazione internazionale Human Rights Watch si è vista rifiutare dalle autorità l’accesso di suoi rappresentanti in Libia, per una visita pianificata da tanto tempo, nel corso della quale intendeva indagare sul trattamento riservato ai migranti e ai richiedenti asilo in quel paese. Secondo HRW, « i richiedenti asilo e i migranti che vivono o transitano in Libia, soprattutto se vengono dall’Africa sub sahariana, subiscono violenze da parte della polizia, detenzioni arbitrarie e condizioni di detenzione deplorevoli. I respingimenti e le espulsioni verso paesi come la Somalia e l’Eritrea, dove gli espulsi corrono seri rischi, sono frequenti » (comunicato HRW, 7 dicembre 2004).


Espellendo senza alcun riguardo diverse centinaia di persone in Libia, tra le quali si possono trovare persone bisognose di protezione internazionale, l’Italia si assume la co responsabilità per le violazioni dei loro diritti fondamentali, violazioni delle quali quweste persone potrebbero essere vittime.

In considerazione di quanto fin qui riportato,. le espulsioni collettive fatte dal governo italiano all’inizio del mese di ottobre presentano indubbiamente il carattere di violazione grave dei diritti umani e del diritto d’asilo, senza che le persone che sono state vittime siano in condizioni di esercitare il ricorso eventualmente previsto, in particolare davanti alla Corte europea dei diritti umani.
Gli Stati membri e l’UE hanno sempre proclamato la loro adesione al rispetto della libertà e dei diritti fondamentali, in particolare il diritto d’asilo. Ne sono testimonianza i diversi strumenti quali la Convenzione di Ginevra del 1951, la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950, così come la Carta europea dei diritti fondamentali del 2000. Oggi, benché l’UE abbia affermato a più riprese la propria volontà di creare uno spazio di « sicurezza e di giustizia » europeo, ci si può legittimamente chiedere di quale sicurezza e di quale giustizia hanno beneficiato i migranti e i richiedenti asilo che sono arrivati a Lampedusa all’inizio di ottobre del 2004.
Come associazioni impegnate a tutela dei diritti umani e per i principi di uguaglianza, noi non possiamo non reagire di fronte alle ingiustizie messe in atto dal governo italiano in relazione ai suoi obblighi internazionali ed europei.

In qualità di garante dei Trattati, la Commissione vigila, con la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sul rispetto dei diritti comunitari in tutti gli Stati membri. Respingendo, tra il 2 e il 9 ottobre, più di 1000 migranti potenziali richiedenti asilo nel quadro delle espulsioni collettive verso la Libia, le autorità italiane si sono rese colpevoli di violazioni del diritto d’asilo, come riconosciuto dal Trattato di Amsterdam, nonché dalla Convenzione Europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali, della quale l’Unione Europea si è impegnata a rispettare i principi e della Carta Europea dei diritti fondamentali, integrata nel Trattato Costituzionale firmato il 29 ottobre 2004, i cui principi sono di riferimento ai lavori della Corte di Giustizia Europea (vedi allegato 1).
In nome degli impegni internazionali ed europei presi dagli Stati membri dell’UE, vi chiediamo di condannare l’Italia per le infrazioni di seguito riportate:
• Violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio: tenuto conto del tempo trascorso tra l’arrivo dei migranti e il loro respingimento, si può affermare che queste persone (più di 1000 in totale) non hanno visto esaminare le loro domande individualmente, non hanno potuto avere accesso all’assistenza di un avvocato e ancor meno di un interprete. Inoltre, la decisione di respingerli presa dal governo italiano non ha consentito alcuna possibilità di ricorso da parte dei diretti interessati.
• Violazione del divieto di infliggere trattamenti inumani e degradanti, come riportato nell’art.4 della Carta europea dei diritti fondamentali e all’art.3 della Convenzione europea per il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
• Violazione del divieto di praticare espulsioni collettive come riportato all’art.4 del protocollo n.4 della Convenzione europea per il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e all’art.19 della Carta europea dei diritti fondamentali. Attraverso un esame superficiale delle domande, il governo italiano ha proceduto ad espulsioni collettive vietate dall’insieme della legislazione internazionale in materia.
• Violazione del principio di non respingimento come prescritto dall’art.33 dell’Atto Unico Europeo del 1986. Questo principio impone l’esame individuale delle domande, e vieta il respingimento degli interessati verso paesi dove esiste un “serio rischio contro l’integrità fisica di queste persone” (richiamato all’art. 19/2 della Carta europea).

Noi associazioni chiediamo alla Commissione Europea di agire da un lato affinché nessun Stato membro dell’UE possa non ottemperare ai propri impegni e obblighi in materia di immigrazione e asilo, dall’altro perché il respingimento e le espulsioni collettive siano cancellate definitivamente dalle politiche migratorie dell’UE.

Per queste ragioni, preghiamo la Commissione di volersi occupare di questo caso, segnatamente avviando un procedimento d’infrazione per l’accertamento della violazione del diritto comunitario da parte dell’Italia, e per il riconoscimento della responsabilità italiana per i danni subiti dagli espulsi.

Crediamo che i diritti fondamentali quali il diritto alla difesa, la protezione contro i trattamenti inumani e degradanti, il divieto delle espulsioni collettive e il principio di non respingimento dei rifugiati siano parte integrante del diritto comunitario e che l’assenza di un intervento della Commissione verrebbe interpretata come mancanza di responsabilità nella difesa di tali principi.


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