Convegno NUOVI CITTADINI, NUOVE COMUNITA' - Bologna, 13 dicembre 2003
06-05-2004
Proponiamo di seguito gli interventi realizzati in occasione del convegno in merito alle problematiche legate ai migranti, con particolare riferimento al diritto di voto. Ciò che emerge è la sostanziale necessità di una co-integrazione: non quindi un processo a senso unico, ma un reciproco arricchimento; non unazione attuata da noi, bensì in collaborazione costante con chi da decenni si vede privato della propria dignità politica e sociale. Si rende quanto mai urgente una battaglia politica consapevole dellimportanza del protagonismo degli immigrati: protagonismo da realizzarsi a tutti i livelli, e di cui il diritto di voto non è altro che il passo iniziale.
Introduzione di Paolo Gallinari, Presidente regionale Arci Emilia Romagna
La costruzione di una società aperta, in cui i diritti di con-cittadinanza siano riconosciuti, si scontra oggi con gli ostacoli che vi frappone la legge Bossi-Fini, antitesi di una qualsivoglia politica di inclusione sociale cui si accostano, in maniera perfettamente complementare, le dichiarazioni offensive e intolleranti di parte leghista che rispuntano a cercare di rappresentare l'immagine di un'Italia chiusa nel suo egoismo. Solo per fare un esempio, nei primi 50 anni dell'unità d'Italia, 1861-1911, gli italiani emigrati all'estero sono stati più di quattro milioni, in prevalenza lavoratori provenienti dalle campagne espulsi permanentemente dal processo produttivo nazionale.
"Signor Presidente, Vi saluto a nome dei miei 8.000 amministrati, 3.000 dei quali sono emigrati in America e 5.000 si preparano a seguirli" con queste parole di amaro sarcasmo il sindaco di Moliterno in Basilicata salutava l'allora Presidente del Consiglio Zanardelli, all'inizio del secolo in visita nelle province lucane.
Emigrati per cercare lavoro, cioè per condurre una vita dignitosa, cosa che non potevano fare nel paese d'origine, lo stesso movente della grande maggioranza degli immigrati che con un gigantesco esodo forzato - secondo dati ONU nel 2000 gli emigranti nel mondo erano 175 milioni - fuggono dai loro paesi d'origine a causa di guerre, discriminazioni etniche, fame e povertà.
Non è comprensibile il trattamento che spesso riserviamo loro. Un popolo che ha subito l'umiliazione dello sradicamento dalla propria terra, la fatica del dover ricominciare in un paese straniero, l'insulto del razzismo e dell'intolleranza, non dovrebbe cadere a sua volta nel medesimo tragico errore.
L'immigrazione e l'emigrazione sono un capitolo della storia del mondo, non sono riducibili ad una questione di ordine pubblico, sono un dato incontrovertibile ed inarrestabile con cui convivere serenamente, un valore in più da aggiungere al nostro tessuto sociale.
Affrontare le questioni aperte in termini di emergenza non può più essere sufficiente. L'incidenza degli stranieri è in media del 4,2 % sull'intera popolazione italiana, con punte di oltre il 7% nel Lazio e del 6% circa in Lombardia, Umbria ed Emilia Romagna. Eppure sembra che si voglia negare il fatto che ormai da molto tempo, un popolo multiculturale, che non ha le sue radici in questo paese, vive e lavora con noi e in mezzo a noi, completando e spesso anche sostituendo nostri ruoli e funzioni, un popolo che rivendica i nostri stessi diritti alla sanità, all'istruzione, al congiungimento familiare, alla casa, alla cultura e al tempo libero e quindi al voto.
Come ARCI intendiamo promuovere una campagna nazionale che porti all'attenzione dell'opinione pubblica il tema dell'immigrazione in una luce diversa da quella a cui siamo abituati, mettendo al centro le politiche dei diritti legati alla cittadinanza, per un progetto democratico e sociale di cittadinanza da costruire insieme sul territorio. Ne sono testimonianza la qualità e la pluralità dei relatori di oggi, dal mondo delle associazioni di immigranti, alle figure di primo piano degli enti locali, ai rappresentanti di autorevoli istanze organizzate laiche, confessionali che operano sul campo.
Il nostro convegno di oggi si inserisce fra le iniziative in preparazione della giornata internazionale dell'ONU per promuovere la convenzione sui diritti dei lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie, e richiederne la ratifica da parte dello stato italiano e di altre manifestazioni lanciate dal forum sociale europeo. Particolare significato ha per noi il patrocinio concesso a questa iniziativa dalla regione Emilia Romagna che si accinge ad approvare la nuova legge regionale sull'integrazione sociale dei cittadini stranieri.
Intervento d'apertura di Gianluca Borghi - Assessore Regionale alle Politiche sociali e all'Immigrazione
Vogliamo assumerci nuove responsabilità senza mai prescindere dal contesto globale che produce emigrazione, sottosviluppo, crescita diseguale, insostenibilità dello sviluppo, per meglio definire un paradigma dell'accoglienza, in un quadro che pone i fenomeni migratori in una dimensione strutturale e non emergenziale per oggi e per almeno i prossimi vent'anni.
Siamo in presenza di 250.000 cittadini residenti nella nostra regione, provenienti da paesi stranieri. E il mercato del lavoro il motore dell'immigrazione nella regione: nel 2002 i lavoratori stranieri neo assunti hanno rappresentato il 15% delle nuove assunzioni in ogni ambito imprenditoriale. La presenza nelle scuole di ogni ordine e grado è ancor più evidente e sarà più accelerata nei prossimi cinque anni.
E' necessario un lavoro in controtendenza rispetto all'attuazione della Bossi-Fini che ha evidenziato tutti i limiti che a suo tempo avevamo denunciato, riproducendo emarginazione e precarietà. Ad es. i regolamenti attuativi arretrati rispetto alla 189 con un aumento di passaggi burocratici; una ulteriore discrezionalità nelle procedure; un ruolo accessorio delle regioni nella determinazione dei flussi; l'inesistente attenzione all'attuazione di quella parte della Turco-Napolitano che impegna a garantire accoglienza ed integrazione. E ancora sul tema dell'asilo non sono stati accolti gli emendamenti, che tutte le venti regioni hanno elaborato, per garantire maggior qualità nell'accoglienza per i rifugiati, e maggior trasparenza nelle procedure per i richiedenti asilo. Quella tutela dei diritti fondamentali prevista da indicazioni comunitarie e che lo stato italiano nega in questa fase attuativa della Bossi-Fini. A questo si aggiunge qualcosa di più strutturato, ovvero quel disinteresse nell'attuazione di norme, di provvedimenti che potrebbero definire cittadinanza, protezione sociale, accoglienza anche fra gli altri e i cittadini stranieri. In questo senso la riduzione del fondo sociale prevista nel 2004, la riduzione dei trasferimenti agli enti locali, i consistenti tagli ai trasferimenti sul fondo per l'affitto, quando non si va ad assumere posizioni estreme e razziste che non trovano cittadinanza in nessun altro paese . Il libro bianco del ministro Maroni sul welfare è assolutamente accantonato: del tutto discutibile, ometteva qualsiasi analisi su quel che è il fenomeno migratorio, anche nella sua composizione demografica, nei suoi tessuti comunitari, e su quel che ha comportato e comporterà nel nostro paese nei prossimi anni.
La nuova legge regionale che abbiamo cominciato a discutere in commissione e che entro breve sarà legge dell'Emilia Romagna assume come filosofia di fondo la volontà di assicurare ai cittadini stranieri diritti e doveri in una prospettiva di reciprocità assolutamente altra rispetto a quello della tolleranza. Invito su questo a valutare quello che Jean Daniel ci indica: laicità, reciprocità, al posto di tolleranza anche a sinistra; facilitare l'accesso ai servizi esistenti nell'ambito di una politica e di interventi universalistici con strumenti di programmazione nuovi, raccordati con altre misure che il consiglio regionale ha approvato; con la promozione di strumenti per la partecipazione attiva dei cittadini stranieri alla vita pubblica. Le legge regionale è il tentativo di definire, nel rispetto delle competenze costituzionali nuovi percorsi e nuovi strumenti in grado di raggiungere quell'obiettivo.
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Autorganizzazione e forme di partecipazione dei migranti
Intervento di Filippo Miraglia, Responsabile Nazionale Arci per limmigrazione
Questo incontro è un momento importante per sviluppare iniziative politiche sull'immigrazione. Oggi il discorso è egemonizzato dalla destra, cioè abbiamo un governo e dei partiti di destra che sull'argomento intervengono in maniera costante con un progetto politico ben preciso determinando un orientamento dell'opinione pubblica, della stampa e della stessa politica. Si tratta di un'egemonia che ha alle sue spalle una forma nuova di razzismo fatto di tante vecchie forme di razzismo ma anche della loro negazione; che tiene assieme anche cose contraddittorie, basti pensare a come le vicende degli interventi continui di Bossi e della lega e della proposta sul diritto di voto di Fini, siano una nuova forma di razzismo che prevede anche forme di apartheid. Penso alle tante frontiere che nelle città stanno nascendo a causa delle pratiche di governo dell'immigrazione che oggi sono attuate in questo paese e penso anche a come viene presentato ed istituzionalizzato un razzismo differenzialista, quello che basa la sua ipotesi sull'incompatibilità tra culture, spesso anche sulla guerra tra civiltà. Un razzismo moderno che è fatto della proposta sul diritto di voto avanzata dal vice presidente del consiglio, ma anche del protagonismo dell'Italia a livello europeo con tante proposte che durante il semestre italiano il governo Berlusconi ha avanzato ai partner dei 15 paesi membri; fatto anche della gestione di una regolarizzazione -la più grande che ci sia mai stata in Europa- più di 700.000 persone, che è stata gestita in maniera imprenditoriale, basti pensare che le casse dell'INPS hanno incassato più di 330 milioni di euro con un piglio imprenditoriale.
Si tratta quindi di un progetto - quello della destra e del governo Berlusconi - culturale a tutto tondo, che propone un modello di governo che tutti gli italiani, non soltanto quelli esplicitamente razzisti, guardano con interesse perché fornisce risposte a tutti, anche ad una parte degli immigrati. Un modello che, al di là degli annunci demagogici sul diritto di voto, è fatto di pratiche che determinano una condizione materiale dei migranti di esclusione sociale, quale che sia l'idea dell'immigrazione di Berlusconi, Bossi, Fini e il vice ministro Mantovano. Lo sanno tutti e nessuno se ne vergogna, anzi usano il loro punto di vista per ritagliarsi quotidianamente uno spazio pubblico, un ruolo di governo, una visibilità. Quale sia invece l'idea dell'immigrato della sinistra in Italia e in Europa lo sanno in pochi, spesso loro stessi se ne vergognano e quando intervengono lo dicono sotto voce e lo fanno in base ad unagenda dettata dalla destra. L'iniziativa di oggi, e altre che promuoviamo insieme ai sindaci, agli immigrati e alle altre associazioni, deve avere l'obiettivo di cambiare direzione e forse per produrre questo cambiamento abbiamo bisogno di una frattura e di una rottura col passato perché dobbiamo fidarci del fatto cha abbiamo sufficiente tempo, intelligenza e pazienza per cambiare lo stato delle cose in Italia. È necessario provare ad aprire uno spazio politico di discussione e costruzione di consenso alternativo a quello della destra e del governo Berlusconi.
La questione dei diritti di cittadinanza e del diritto di voto che oggi poniamo al centro di questo convegno, è una chiave determinante per aprire questo spazio politico. Troppo spesso la sinistra sociale si concentra sul confitto e sulle emergenze. Ci sono mille casi che giustificano lemergenza: tentiamo, ad esempio, di bloccare l'espulsione di un lavoratore straniero che ha fatto la regolarizzazione a Foggia abbiamo denunciato 20 casi simili a questo - che è stato preso in giro dal suo datore di lavoro che ha prodotto una documentazione falsa, falsi timbri postali. Questo lavoratore straniero che ha denunciato il suo datore di lavoro si trova oggi al Cpt di Bologna e sta per essere espulso. Noi cerchiamo di bloccare l'espulsione e questo per dire che non si esce dall'emergenza, nonostante ci siano precedenti e sentenze. Inoltre il comportamento delle questure è totalmente casuale, anzi indirizzato in queste direzioni. È necessario opporsi a questo progetto politico del governo facendo un operazione politica ampia e conquistando la maggioranza degli italiani su una battaglia politica di civiltà come quella dei diritti dei migranti. Credo ci sia bisogno di un imprenditore politico dei diritti, anzi di un estremista dei diritti, perché oggi abbiamo già gli estremisti del razzismo.
Sulla politica sociale europea va sottolineato come la costituzione europea introduca un elemento istituzionale di razzismo, prevedendo un'umanità di serie b nel momento in cui afferma che i cittadini sono solo quelli con passaporto U.E.: gli altri cittadini sono di serie b; nonostante risiedano, lavorino, producano, facciano figli, sono considerati inferiori rispetto ai cittadini europei. Questo è inaccettabile e assieme a nostri compagni francesi abbiamo lanciato una petizione per la cittadinanza di residenza con l'obiettivo di raccogliere un milione di firme da presentare al presidente dell'europarlamento affinché ci sia una proposta di legge di modifica di costituzione che, una volta approvata, riconosca una cittadinanza legata alla residenza e non alla nazionalità. Separare la cittadinanza dalla nazionalità è un passo avanti verso una democrazia effettiva e moderna, battaglia che tutti devono assumere. Sul diritto di voto non credo ci sia bisogno di riforma costituzionale, la discussione presente oggi in parlamento non porterà nessuna legge. Già oggi la legislazione italiana prevede gli strumenti per dare diritto di voto agli stranieri residenti. La battaglia politica è riconoscere diritti non concederli in base alla residenza, senza chiedere preventivi giuramenti perché questi non sono chiesti neppure agli italiani. Si giura fede alla costituzione solo se si assumono incarichi pubblici e non bisogna nemmeno chiedere periodi di prova. La residenza deve essere l'unico elemento per poter partecipare alle elezioni amministrative e questa battaglia va fatta insieme alle amministrazioni pubbliche democratiche, alle regioni, ai comuni, agli immigrati e immigrate che rappresentano le contraddizioni di questa società ma che sono anche la via per superarle. Immigrati da sostenere nelle loro esperienze difficili di partecipazione e protagonismo politico che oggi non ha spazi in Italia. L'esperienza di Firenze dell'elezione del consiglio degli immigrati provinciale e comunale è importante, perché 5.000 persone si sono mobilitate votando, scrivendo programmi, presentando liste. Il governo sta aprendo numerosi nuovi cpt, alcuni di questi illegittimi come i centri di identificazione che il governo sta facendo funzionare per i richiedenti asilo pur in assenza di un decreto attuativo. Anche centri presentati come di accoglienza sono centri chiusi dove gli immigrati non possono uscire. Il governo li moltiplica rispondendo con la carcerazione alla domanda sociale degli immigrati. Dobbiamo rispondere su questo terreno in maniera forte e nei prossimi giorni, con ASGI, apriremo un numero verde collegato a una rete di avvocati in tutta Europa per assistere gli immigrati che arrivano alle frontiere e che sono nei cpt, per denunciare la loro situazione, per intervenire con operatori e avvocati locali.
Siamo convinti che lo spazio di battaglia civile accanto agli immigrati si crei facendo crescere lo stato dei diritti umani nel nostro paese. E oggi, che la lotta al terrorismo è una delle chiavi di volta per governare, è importante avere strumenti di denuncia perché è inaccettabile che persone che pur hanno commesso violenza, ma non condannate da un giudice possano venire espulse.
Siamo convinti del bisogno di alleanze ampie delle forze democratiche come amministrazioni pubbliche, intellettuali, magistrati democratici, i sindacati, il volontariato, gli immigrati, i movimenti: questo spazio politico va costruito assieme a tutti questi ed anche ad altri, che già da anni sono al nostro fianco. In caso contrario sarà una sconfitta della democrazia in Italia e in Europa. Non ce la possiamo permettere: si determinerebbe un percorso di cui non conosciamo la fine in quest'Europa di esclusione sociale e di razzismo.
Intervento di Piero Soldini responsabile nazionale immigrazione CGIL
Le suggestioni degli interventi che ho ascoltato sono molte. Partendo dalla questione del voto, avverto una situazione emblematica che va oltre i confini del tema dell'immigrazione nel confronto politico tra centro destra e centro sinistra. Fa molto riflettere il fatto che Fini apre uno scontro all'interno della sua maggioranza, nella sua coalizione di governo con la lega su un diritto civile qual è il voto agli immigrati. Noi nel frattempo, nel centro sinistra, stiamo discutendo della lista unica. Va dato atto a Fini di aver prodotto un elemento di novità nella discussione generale, anche un approccio diverso delle forze politiche rispetto a questo tema.
Fini rischia di capitalizzare politicamente questa sua uscita e pagare però un prezzo molto basso al suo elettorato più xenofobo perché, se passasse la legge proposta da Alleanza Nazionale, il voto rischierebbe di diventare una cosa irrisoria, sia per la quantità di immigrati che sarebbero interessati dopo leffettuazione di una selezione (parliamo di 100-130.000 persone), sia per la scarsa qualità di questo voto, visto che verrebbe collegato ad un percorso ad ostacoli e consegnato come un premio alla fine di questa pesante corsa: ci sarebbero dei requisiti di reddito oltre che di fedeltà e di giuramento alla costituzione. Occorre recuperare un terreno tutto di merito che non avverto neanche nella rappresentazione delle varie proposte di legge che sono state prodotte dai vari schieramenti.
Ancora oggi il sistema si risolve con una legge di riforma costituzionale quando sarebbe invece plausibile un intervento ordinario. Già voteranno nel nostro paese gli stranieri comunitari in virtù di un decreto legislativo che ha ratificato una direttiva europea, se questo sarà possibile per i tedeschi, per i francesi, non si può dire che la costituzione non lo consenta per gli extracomunitari. La Costituzione nel 1945, quando è stata varata, non faceva differenze tra comunitari ed extra comunitari. Se una legge ordinaria ha potuto consentire che nel nostro paese alle elezioni amministrative voteranno i cittadini stranieri comunitari, una legge ordinaria può consentire di votare ai cittadini extracomunitari.
Per quanto riguarda gli aspetti più contingenti, la fase di regolarizzazione -abbiamo avuto un incontro con il ministero dell'interno e i dati ci dicono che siamo al 90% delle domande di regolarizzazione evase- è ad uno stato avanzato. Del 10% rimanente, il 5% dovrebbero essere respinte e l'altro 5%, ancora in sospeso, poiché pendono su di esse degli impedimenti. Il 10% su 700.000 è di 70.0000 persone, potremmo rischiare di assistere alla più grande espulsione di massa. Su questo occorrerà una grande attenzione, fra i casi respinti è presente una percentuale di truffe; la regolarizzazione lascia nel nostro paese una consistente presenza di lavoratori immigrati clandestini o irregolari. Lo stesso Ministero dell'Interno afferma che, guardando ai segmenti del mercato del lavoro come il lavoro autonomo, i lavori atipici dove c'è una pluralità di datori di lavoro, le libere professioni etc., ci sono circa 200.000 persone -che sono una massa critica sufficiente a richiedere un provvedimento di riapertura dei termini di regolamentazione- che la prima regolamentazione non aveva tenuto in considerazione. Sarà necessaria una mobilitazione che tenga insieme gli aspetti contingenti della gestione della Bossi-Fini e a questa colleghi le questioni più alte, la ratifica della convenzione internazionale dei diritti dei migranti, la richiesta di inserire nel trattato costituzionale la cittadinanza di residenza.
Ultimo e fondamentale punto, la liberalizzazione del flusso migratorio sulla base del principio e del diritto di ricercare l'occupazione. Non il lavoro come clausola ad excludendum, ma il lavoro come diritto; la possibilità quindi che in Europa si possa entrare liberamente e avere un permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di unoccupazione.
Intervento di Andres Barreto - Comitato Immigrati in Italia
Per ciò che riguarda la questione del diritto di voto, va chiarito il ruolo di molti governi locali di sinistra e di centro sinistra che continuano a dire che la prospettiva, iniziata a Genova con le modifiche degli statuti comunali e regionali, è impossibile e spingono perché questo provvedimento venga affossato. Nell'ultimo incontro a Roma dove c'è un centro sinistra molto forte con un sindaco che vanta una città multiculturale, dell'accoglienza, e che fa delle uscite pubbliche molto brillanti anche rispetto ai problemi tragici che vivono gli immigrati in questo momento, essi rifiutano un riconoscimento di diritto di voto per modifica degli statuti comunali o delle leggi regionali. Questo per dire che noi del comitato ci domandiamo sempre di che immigrazione stiamo parlando, regolari o irregolari, legali o clandestini? E si va a finire che parliamo sempre dei regolari, di coloro che unaccettabilità di presenza lhanno sia da associazioni che da organizzazioni differenti. È un problema che tutte le proposte che emergono siano riferite ai regolari.
Davanti alla presenza di numerose persone che cercano una situazione di vita messa in difficoltà dal tentativo dell'organizzazione dell'assetto mondiale, lo Stato italiano ha cominciato a edificare, dagli anni 90, un progetto legislativo che ha accentuato la precarietà della vita delle persone immigrate. Il passo più significativo è stato nel trattamento riservato a queste persone che, non venendo considerate tali, l'ordinamento repressivo si è indirizzato a trattare come questione di ordine pubblico o di sicurezza nazionale. Parliamo sempre del fenomeno immigrazione, mai delle persone immigrate.
L'Europa in una fortezza a cui viene impedito di accedere legalmente e alcuni suoi cittadini politici molto influenti non accettano la nostra presenza come donne e uomini liberi, ma ci vogliono come nuovi schiavi, senza voce e senza sogni. Solamente uscendo dalla invisibilità, si può creare una forma di organizzazione che sia propositiva, partecipativa, auto-difensiva e autonoma, che dentro un conflitto sociale che è stato provocato cerchi di fare forza sulla ricchezza esplicita dei diritti riconosciuti ai migranti in quanto esseri umani e in quanto lavoratori. Dopo la Bossi-Fini questa tranquillità non esiste più, con la sanatoria siamo stati costretti a illuderci di poter vivere dignitosamente, invece siamo stati gettati nella precarietà più angosciante data dalla consapevolezza che in questo modo non saremo mai liberi. Hanno costruito una legge che legalizza la tratta delle persone, che legalizza il lavoro nero, che ci mette nelle mani dei datori di lavoro.
Ora siamo parificati quando ci rivolgiamo ai servizi che non sono più dello stato sociale, siamo parificati con gli autoctoni quando facciamo le lotte per il diritto alla casa che andiamo ad occupare, quando condividiamo la lotta per la pace, quando siamo in piazza con gli operai, ma quando vorremmo partecipare alle elezioni locali, per essere considerati cittadini a tutti gli effetti, in questo caso anche alcuni compagni cominciano a pensare che forse potrebbero esserci pericoli a livello religioso, molti poi accolgono una legge come la Bossi-Fini, le proposte di polizia europea che sono state emanate, la creazione di nuovi campi lager come una forma di accoglienza e cooperazione nuova.
Su questo inganno che è tanto manifesto chiediamo di riflettere. Questi cambiamenti vanno fatti in modo ampio, ascoltando le proposte che vengono dal mondo immigrati: non siamo più cittadini di serie B per quanto riguarda la scuola, la sanità
vorremmo partecipare alla vita sociale, civile e politica che ora ci è negata. Tutto questo deve essere affrontato con molta vigilanza e decisione.
Intervento di Mercedes Frias - Punto di Partenza (rete di organizzazione di donne immigrate)
Quando si parla di auto-organizzazione degli immigrati la nostra mente va alle associazioni, alle comunità su base nazionale. Penso che l'organizzazione da parte dei cittadini stranieri sia molto importante, ma anche molto limitata e non può essere confusa con la partecipazione politica. La maggior parte di queste organizzazioni ha una funzione di rassicurazione, ma non sono reali interlocutori politici, essere dello stesso paese non ci fa uguali quindi non è che ci si deve automaticamente convertire in rappresentanti dei nostri paesi.
Un altro ambito è quello degli organi di rappresentanza tra gli stranieri, come le consulte, i consiglieri aggiunti ecc
Anche questa è una dimostrazione di volontà di fare spazio, anche se dobbiamo riconoscerne i limiti sapendo che non hanno poi effettiva possibilità di incidere a livello decisionale. Puntare eccessivamente sul diritto al voto come se questo portasse ad un riconoscimento di pieni diritti è un errore: la dimostrazione è in altri paesi dove rimane il problema culturale di fondo, legato ad un razzismo strutturale della società europea.
Primo ambito è quello del sindacato che ci dice che noi immigrati abbiamo una percentuale di sindacalizzazione superiore a quella degli italiani, tuttavia i numeri di coloro che sono negli organi dirigenti è infimo, non viene quindi dato spazio all'espressione delle nostre potenzialità e professionalità. Questo fa si che ci sia una scarsa sensibilità riguardo a questioni come quella degli incidenti sul lavoro e dell'incidenza della mortalità sul lavoro anche degli immigrati.
Per ciò che riguarda i partiti, talvolta in qualche lista per elezioni locali vediamo qualche immigrato con cittadinanza italiana o qualche faccia nera messa per dare un impressione di interculturalità, di democraticità, senza però che ci sia la reale possibilità di essere eletti. In tutto il territorio italiano ci sono due consiglieri stranieri: due assessori in tutto il territorio non rappresentano unazione coerente con i postulati della sinistra. Pari opportunità vuol dire che veramente dobbiamo poter esserci non soltanto in quanto rappresentanti, ma anche perché abbiamo delle cose da dire.
Terzo ambito è l'associazionismo: da quando va di moda l'intercultura c'è un fiorire di corsi di formazione per tutto quello che ci riguarda, siamo sempre i depositari, ma difficilmente siamo noi attori a dire le nostre cose.
Sì al diritto di voto, ma vediamo che ci sia un vero equilibrio nella presenza all'interno di questi ambiti.
Intervento di Marinela Costan - Rappresentanza dei Cittadini stranieri di Ravenna
Se tu dai lo spazio agli immigrati, essi cercano di organizzarsi. A Ravenna, dopo che il comune ha cambiato lo statuto prevedendo la possibilità di disciplinare forme di consultazione ed organismi di partecipazione alla vita pubblica locale, si stanno facendo delle indagini tra gli stranieri ed è emerso che una delle esigenze principali è quella di esprimere i diritti di cittadinanza attraverso i propri rappresentanti. Hanno dato meno importanza al voto che alla possibilità di partecipare alla costruzione delle politiche di inclusione che riguardano tutti i cittadini, ritengono prioritario il confronto e il dialogo con le istituzioni. Partecipiamo alla vita sociale e culturale di questo paese, noi lavoriamo qua, siamo qua quindi è giusto che noi possiamo esprimere le nostre idee.
Volevo parlare dei fattori positivi: a Ravenna è stata organizzata una rappresentanza dei cittadini stranieri formata da 21 membri, 8 rappresentanti dell'Africa, 8 dell'Europa, 2 dell'Asia e 2 dell'America. Abbiamo solo un potere consultativo, ma veniamo sempre coinvolti dal comune, siamo invitati a tutte le sedute del consiglio comunale, partecipiamo in modo attivo alla vita politica.
Intervento di Adil El Marouakhi - Centro culturale Mondinsieme di Reggio Emilia
A Reggio Emilia abbiamo una situazione con circa cinquanta associazioni relative a questa realtà: è un numero che può dare unidea di dispersione, ma se si ragiona su unarea che ha 210 associazioni di volontariato credo che sia la dimostrazione di come gli immigrati si adattino al tessuto sociale. Questa provincia diventa quindi non più solo un territorio dove si viene per lavorare, ma anche un elemento centrale perché dotato di una socialità che gli permette di auto rappresentarsi nelle diverse forme, legate alla nazione, alla religione, quelle miste e poi le giovani generazioni, figli di immigrati, nati e cresciuti qua, che troviamo iscritti all'ARCI, alla Sinistra Giovanile ecc.
Per quanto riguarda la Bossi-Fini, essa assume una caratteristica dello sviluppo delle logiche delle politiche di differenziazione quasi come se le differenze fossero un incastro dentro un modello che spinge gli immigrati ad auto rappresentarsi in senso di piccole nazioni. La legge, per quanto riguarda le differenze tra un cittadino italiano e un cittadino straniero, arriva a condannare, a confinare un cittadino italiano quando sposa un cittadino straniero, a considerarlo qualcosa di diverso dall'altro cittadino. Va ben oltre l'idea del razzismo, oltre lostacolare il cammino dell'integrazione: crea la situazione in cui lo straniero non ci sente non solo in quanto marocchino, ma in quanto profondamente diverso dal cittadino italiano in termini di diritti.
Il modello della rappresentanza all'interno delle organizzazioni sindacali permette agli stranieri di superare l'idea di essere la replica dei loro paesi di origine, che la rappresentanza si esprima solo nella linea diretta tra l'etnia e la nazionalità, che permette allo straniero di rappresentare anche altri italiani e condividere la loro idealità. Il modello del consigliere aggiunto non permette al consigliere di discutere con i suoi compagni di partito. Credo sia giusto far votare gli immigranti italiani residenti all'estero anche se da più di 40 anni; ciò che è contraddittorio è che un immigrato che vive qui da 40 anni non possa scegliere il proprio sindaco.
Ancora peggio è quando il Presidente del consiglio sostiene che il nostro modello democratico è esportabile e non si accorge che all'interno del proprio modello esclude proprio quelle persone che provengono dai quei modelli dove lui intende esportare la democrazia.
Tavola rotonda sull'Europa dei diritti
Tom Benetollo - Presidente dell'ARCI
Giovanni Palombarini - Magistratura democratica
Sergio Cofferati
Vasco Errani - Presidente regione Emilia Romagna
Introduzione di Tom Benetollo
In questi giorni si sta decidendo l'essenziale della Costituzione Europea. Si presenta un percorso molto travagliato in cui conterà molto l'impegno dell'associazionismo, delle forze politiche sociali, delle istituzioni, degli enti locali. Il nostro approccio è di collegare diritti e territorio, il protagonismo dei cittadini.
Abbiamo anche noi un problema di rappresentanza, e dobbiamo ribadire invece un impegno diretto, molto chiaro, per far si che il rapporto con decine di migliaia di immigranti, che frequentano i nostri circoli, lontani dallessere sufficientemente aperti da rendere questo effettiva partecipazione e rappresentanza, possano divenire vera rappresentanza. Siamo anche in un contesto difficile, l'Europa fortezza ci sarà o non ci sarà? Il tema della percorribilità dello spazio geopolitica dell'unione europea, il fatto che il nostro paese non abbia una legge sul diritto di asilo, se non antiquata, è un fattore prioritario di intervento.
Abbiamo una legislazione molto confusa: sapete che facciamo un frontale contro la Bossi-Fini, possiamo testimoniare un impegno contro questa legge che ha effetti devastanti. Oltre al no bisogna stabilire dove vogliamo andare con un progetto nuovo, una nuova legge. Costruire un baricentro dei diritti che sia stabile: non possiamo avere un paese dove ogni governo fa una legge sull'immigrazione, creando assoluta incertezza sull'ancoraggio costituzionale creando precarietà e insicurezza rispetto allo status del cittadino. Vogliamo che la legislazione una volta acquisito uno spazio certo dei diritti, vada a migliorare lo status, a garantire l'universalità dei diritti, a renderli esigibili. Il fatto che città o regioni abbiano aperto la strada a norme e provvedimenti, a spazi di partecipazione avanzata, sono spinte in avanti utili: non siamo per una feudalizzazione del diritto di voto, vogliamo che questo avvenga su tutto il territorio, consolidando questo come un diritto acquisito, di percorsi di costruzione delle comunità con i cittadini che appartengono a quelle comunità, interessati a dare il loro contributo.
E' importante favorire l'interculturalismo, di comunicazione, di linguaggio, di prospettive per dare un'idea di Europa non chiusa, unEuropa dove oggi invece strutturalmente permane quella forma di razzismo che fa parte della nostra stessa storia. Abbiamo una carta europea con molti limiti che interpreta solo la parte buona della sua faccia di civiltà, l'altra parte è anche quella dello schiavismo, quella di Auschwitz, dei gulag, del colonialismo. Abbiamo una buona occasione di dare un segnale differente, di consapevolezza, di quello che l'Europa può fare. [
] E di questo dobbiamo in qualche modo ringraziare figure inquietanti che ci dicono bingo bongo, che ci dicono che c'è posto per le case degli immigrati nei forni crematori. Non sono parodie o battute ignobili soltanto, corrispondono alla loro visione del mondo e in quanto tali non devono essere sottovalutate come battute di qualcuno che non sa cosa sia il senso di responsabilità
Intervento di Giovanni Palombarini - Magistratura Democratica
Io partirei da un quesito a proposito dei nuovi cittadini come dice il titolo del nostro incontro di oggi: che tipo di cittadinanza ovvero quali e quanti tipi di cittadinanza si vanno profilando nel nostro paese e in Europa, quanto di diritti verrà riconosciuto oggi e domani ad una serie di strati sociali che si sono andati determinando in questi nostri tempi. Questa è una questione che viene da lontano, perché nel nostro paese e in Europa ormai da una quindicina d'anni è stato definito un atteggiamento nei confronti di questi nuovi protagonisti della nostra vita sociale. Per quanto riguarda l'Europa ricordo nel 1994 in un incontro di ministri , se non ricordo male, dell'interno e del lavoro, venne definita una carta dei principi: il primo principio diceva che non sono consentiti ingressi in Europa per motivi di occupazione, venivano poi definite delle articolazioni e delle eccezioni, però il principio era questo. Per quanto riguarda la nostra legislazione, dal 1990, dalla legge Martelli in poi, tutte le leggi, anche quelle che hanno avuto la pretesa di organizzare organicamente la questione immigrazione, si sono caratterizzate per una logica di chiusura, corrispondente a quelle che erano le indicazioni complessive europee, e anche ad un approccio alle questioni della cittadinanza che era fatto in termini espliciti in termini di scomposizione della cittadinanza. Se andassimo a ripercorrere tutti gli interventi che abbiamo avuto negli ultimi 15 anni nel nostro paese, in linea di principio vedremmo che questa prospettiva della scomposizione c'è sempre stata e oggi è accentuata, formalizzata dalla legge Bossi-Fini, da una regolamentazione del lavoro degli immigrati in termini di contratto di soggiorno, ma la caratteristica di fondo è quella d'inquadrare il lavoro di queste persone in una logica di assoluta precarietà con una porta sempre spalancata per il loro rientro nei paesi d'origine. Facendo un bilancio complessivo della legislazione che abbiamo oggi costruito a strati fino alla Bossi-Fini, abbiamo che nessuno è destinato a poter rimanere a tempo indefinito nel nostro paese mentre tutti possono domani essere costretti a uscirne. Il nostro contratto di lavoro nuovo mette nelle mani del datore di lavoro una serie di scelte, in una ottica strana, questo contratto di lavoro che nasce come privato ha subito una specie di curvatura pubblicistica per cui una delle due parti, il datore di lavoro, si assume dei compiti che non gli spettano come quella di garantire al lavoratore un'abitazione, quella di garantire una somma di denaro per il rientro nel paese d'origine e quel grande potere di determinare la possibile espulsione. E' tutto rimesso alla scelta del datore di lavoro che se mette fuori produzione il lavoratore può creargli conseguenze pesanti poiché se il lavoratore entro sei mesi non trova un nuovo lavoro dovrà andare via, e per trovare un nuovo lavoro deve vincere la corsia preferenziale stabilita per legge in favore degli indigeni e dei comunitari.
La questione non riguarda solo il lavoro e il tipo di rapporto di lavoro che viene attribuito a queste persone, ma si pensi ad esempio ai regimi speciali per gli stranieri anche nel momento repressivo: noi abbiamo una serie di segni di amministrativizzazione con la possibilità anche di una doppia pena, chi viene condannato nel nostro paese essendo extracomunitario prima subisce una pena di tipo penale e poi c'è l'espulsione e soprattutto i centri di detenzione amministrativa con una regolamentazione speciale per persone speciali al di fuori di principi di ordine costituzionale. Questo oramai è stato normalmente accettato da tanti, da troppi nel nostro paese; è la spia chiara di una filosofia di fondo, individuabile anche in quella che sembrerebbe una grande conquista, la carta di soggiorno: strumento che dovrebbe essere definitivo, è in realtà sempre revocabile dentro una logica di sicurezza e di ordine pubblico, anche per reati di minima importanza, essendo qui da sei sette anni con una carta di soggiorno e quindi con qualcosa in più, con provvedimento di polizia può essere espulso. Questo è dentro l'intero sistema delle nostre leggi e tutto sembra rafforzare questo principio di esclusione. La cittadinanza europea, l'insieme di tutti i diritti dei cittadini, tutto questo non sembra destinato a comprendere i migranti.
Addirittura nell'ambito europeo essi non avranno una libera circolazione ai fini di occupazione, anche per loro ci saranno limiti temporali abbastanza consistenti, prima di poter raggiungere il regime degli altri cittadini comunitari.
La legge Bossi-Fini, dopo la legge Turco-Napolitano, corrisponde a una filosofia di fondo di tipo europeo. All'inizio del 2001 in Spagna è entrata in vigore una legge che è stata chiamata legge dell'estrangeria che si basa su due principi: chi non ha in tasca un regolare per messo di soggiorno non ha diritti, ad esempio di associazione sindacale; in secondo luogo può essere espulso immediatamente con provvedimento di polizia, non sottoposto al controllo di nessun giudice, molto sbrigativo, molto economico, senza spese istituzionali eccessive. Se l'Europa avesse voluto muoversi in una direzione diversa, che fatica avrebbe fatto ad accogliere la proposta di scrivere una norma che dice che cittadini europei sono i figli dei cittadini europei, coloro che nascono su territorio europeo, coloro che risiedono in Europa da quattro, cinque anni e fanno domanda di cittadinanza. Oppure in un ordinamento nazionale che difficoltà c'era ad accogliere una proposta che era già stata fatta ai tempi della Turco-Napolitano, di introdurre il permesso temporaneo di soggiorno per ricerca di lavoro magari garantito, anche sotto il profilo economico, della spesa, con tutta una serie di conseguenze che ne sarebbero derivate anche in termini di riduzione della clandestinità e di tutti i guai che ad essa seguono, e invece sicurezza, ordine pubblico, propaganda a fine elettoralistici bassamente razzista, favorevole sostenitrice dell'insicurezza, del timore dell'invasione. Tra l'altro oggi è cambiato molto il fenomeno dell'immigrazione: all'inizio avevamo degli arrivi pari nel numero tra uomini e donne però senza particolari logiche, non esistevano bambini all'inizio dell'immigrazione. Oggi è cresciuto di molto il numero dei minori, oggi ci sono i ricongiungimenti familiari, comincia ad esserci un radicamento, segnato da tante cose: l'ingresso e il ruolo di una serie di associazioni, il sindacato, la presenza nel sindacato e nella scuola. Un radicamento, un forte segno di contraddizione perché dal basso, nonostante il tipo di legislazione complessiva che l'Europa ha promosso, sembra muoversi un processo di costruzione concreta della cittadinanza. Dall'alto non arriverà molto in termini di leggi nazionali, e farò riferimento alla questione del diritto di voto. Io non credo affatto che sia necessaria una legge costituzionale per introdurre il diritto di voto. Credo che chi ha fatto questa mossa, l'on. Fini, tenda ad avere una serie di vantaggi pagando pochi prezzi tra cui quello che attraverso la procedura di revisione costituzionale passeranno molti anni. Allora in una democrazia che non voglia essere semplicemente formale ma di continua costruzione di occasioni, considero importante il tentativo che alcuni comuni stanno facendo, di modificare il loro statuto per introdurre loro il diritto di voto amministrativo. Certo sarà estremamente parziale, sarebbe ottimo avere una legge nazionale cosa che non è dato di vedere né per la legge costituzionale, né per la legge ordinaria in tempi immediatamente politici. Il fatto che oggi ci siano alcuni grandi comuni che si stanno muovendo in questo senso, tipo Genova, mi sembra molto importante. Io spero che facciano presto e poi voglio vedere il tipo di opposizioni che si formeranno e io credo che questo sia costituzionalmente possibile solo che ci si metta da un punto di vista di lettura e dei diritti costituzionali, non solo perché alcuni professori di diritto costituzionale come Angiolino, come Carnassale dicono che è possibile, ma anche perché i diritti, in unottica di democrazia non solo formale, ma di costruzione dei contenuti della democrazia, dovrebbero avere una potenzialità espansiva. Se c'è una legge che dice qualcosa in punto di diritto di elettorato vuol dire che è il tetto minimo al di sotto del quale non si può andare, che è la garanzia che vale per tutti e che nessuno può toccare: nulla impedisce che si vada oltre, che si vada ad allargare questo diritto in favore di nuovi soggetti o a potenziarlo nei suoi contenuti. Quello che bisogna cambiare è una logica di fondo, a partire anche da una valutazione critica, da un esame spassionato, da un bilancio senza troppi condizionamenti strumentali da parte delle forze democratiche, di quello che hanno fatto concretamente fino ad oggi. Io credo poco al valore del no, se non simbolico, ai centri di detenzione. Rifondazione è stata tra i soggetti che qualche anno fa hanno votato la legge Turco-Napolitano e i cpt non sono una cattiveria di qualche amministratore, sono il frutto inevitabile di una politica. Se mi metto dentro una logica legislativa in cui al centro sono le procedure di espulsione utilizzate dal governo come strumento per il fenomeno immigrazione, non posso fare a meno dei cpt, tant'è che ce ne sono in tutti i paesi d'Europa e in alcuni molti di più che in Italia. Se si vuole dire davvero no bisogna rimettere in discussione la politica delle quote e dei flussi, pensare un permesso di soggiorno di sei mesi anche garantito al livello economico per la ricerca di lavoro. Un ripensamento complessivo dell'intera logica della legislazione dell'intervento sull'immigrazione credo sia necessario per arrivare a cambiamenti reali, a togliere limitazioni di articolazioni inaccettabili della cittadinanza nel nostro paese , a togliere i cpt, a riconoscere il voto etc
Intervento di Sergio Cofferati
Sui temi della Convenzione Europea, penso che continui ad esserci un grande vuoto, difficile da colmare, che non casualmente produce qualche distorsione e anche una serie di difficoltà, perché una parte dei soggetti che guardano a questo processo avvertono fortissimo questo bisogno, il vuoto relativo al modello sociale europeo. Mi chiedo come sia possibile colmare questo vuoto, la costituzione è la somma di idealità, valori anche solo le regole di funzionamento di un ordinamento nuovo che deve avere come corrispettivo un'idea della società, delle sue relazioni, dei suoi contenuti perché quei valori vengano tradotti in politiche concrete e siano condivisi e percepiti come attuati positivamente da parte dei cittadini europei. La mancanza di unattenzione adeguata sul tema produce tante contraddizioni, ovviamente i temi dell'immigrazione che non sono scindibili dall'idea di assetto di struttura sociale che, una parte del mondo importante come l'Europa, dovrebbe avere nel suo futuro. Nel definire il modello sociale alla fine si arriva al sistema dei diritti, alla loro efficacia nei processi di coesione sociale e al loro valore nella determinazione della cittadinanza, mettendo insieme culture diverse non è scontato che i diritti che esse hanno praticato, possano permanere o possano diventare somma di norme alle quali si fa riferimento tutti insieme. Lo dico perché l'Europa ha un'occasione straordinaria di fronte a sè, l'Europa che era influenzata dal vento progressista nel 2000 a Lisbona indicò un modello di sviluppo legato alla conoscenza, fatto di politiche definite, la valorizzazione della ricerca dell'innovazione, del sapere come luogo d'accesso uniforme da parte di tutti i cittadini e l'utilizzo razionale della componente data dalla professionalità e dall'intelligenza delle persone. Va da se che bisogna poi avere un'idea altra della competizione che faccia salvo il sistema dei diritti e delle protezioni sociali, intesi come elementi di coesione e non come un apprezzato retaggio di un passato lontano. L'Europa è luogo dove nasce il welfare che non è semplicemente protezione, ma coesione e qualità della vita e contemporaneamente uno dei fattori fondamentali della competizione. Ma se tutto ciò non è dato nel mercato globale, il modello di competizione che rischia di prevalere ha caratteristiche completamente opposte, legate esclusivamente alle dinamiche di costo dei sistemi e delle singole produzioni. Se la competizione è data soltanto dalla possibilità concreta di diminuire i costi è inevitabile che le protezioni, i diritti individuali o collettivi, i meccanismi ridistributivi che costano, vengano messi in discussione e dunque i temi di cui parliamo oggi vengano accentuati nelle loro dinamiche e quindi resi più difficili. Spero che nei prossimi mesi il tema ritorni ad avere l'attenzione che merita perché l'Europa che si allarga, anche con una costituzione adeguata dovrà ritornare alla ragione che sta alla base della costruzione dell'allargamento e al modello della vita dei cittadini e di competizione dei sistemi economici che noi cerchiamo di praticare. La mancanza di un riferimento rende più difficile anche la gestione del transitorio di ogni paese che è membro dell'unione: siamo danneggiati dai primi effetti di una pessima legge come è la Bossi-Fini dei quali non sono sorpreso. L'aspetto più vistoso è la produzione di un dualismo nei diritti che porta a una definizione di ulteriori fasce deboli nel mercato del lavoro, quello che viene alterato si traduce in un condizionamento delle persone e questa parte dei cittadini diventa oggettivamente più debole di altre.
E' meritorio il lavoro del sindacato, però si esercita su una condizione data da una norma legislativa che rende queste persone diverse e più esposte a qualsiasi forma di condizionamento, figuriamoci se non ci fosse il tentativo di metterle insieme da parte delle organizzazioni sindacali, quel lavoro anche quando ha efficacia serve a contenere il danno a non determinare un peggioramento.
Nel frattempo c'è un permanere della mancanza di consapevolezza di un bisogno della società italiana di questi anni, che crea comportamenti schizofrenici, questa mancanza riguarda non soltanto il valore della mobilità in un mondo civile e quindi la possibilità di avere percorsi di migrazioni che siano garantiti da uniformità di regole, di leggi e di diritti. Non c'è consapevolezza soprattutto nelle parti più ricche dell'esigenza di avere una quota crescente di persone in grado di compensare gli effetti demografici già definiti. Ancor meno delle conseguenze che il soddisfacimento di questo bisogno generale determina. A Bologna e in Emilia nei prossimi anni e in un ventennio, dobbiamo mettere in conto il numero di persone che deve arrivare qui per consentire alla nostra economia di mantenere l'attuale bassissimo tasso di sviluppo, sarebbe necessario avere un incremento consistente, al netto dell'aumento delle tecnologie sul lavoro, il numero di persone che deve venire qui è necessariamente tenuto a crescere con una rapidità maggiore dell'immediato passato. Si continua a pensare che la società sia sostanzialmente statica e che questo processo abbia già generato i suoi effetti e che quindi non resti che agire su una situazione immobile. [...] Questa mancanza di consapevolezza si traduce in politiche non adeguate che riguardano il bisogno di cittadinanza, l'accoglienza, la partecipazione. Questo bisogno di persone riguarda principalmente i processi di immigrazione ma anche quelli interni, il trasferimento di persone dal nord al sud del paese ha una spinta in più ed un'oggettiva mancanza di strumenti di gestione.
Accoglienza: sono d'accordo con Tom, cerco di non usare mai la parola integrazione perché continua a darmi la sensazione di una serie di politiche che hanno un presupposto: chi viene qui rinuncia alla sua identità per accettare la nostra. Per evitare questo errore c'è l'esigenza di costruire una società multietnica, con percorsi culturali che valorizzano le diverse etnie, poi i processi di contaminazione sono un fenomeno fisiologico, ma il nostro obiettivo deve essere quello che nessuno debba rinunciare ad alcunché della sua identità originale, vuol dire agire su alcuni temi specifici: la scuola, la possibilità di padroneggiare rapidamente una lingua, non per abbandonare quella d'origine ma per utilizzarle tutte, alla casa. Bisogna ripensare alle politiche di accoglienza modificando quelle che sono state oggettivamente praticate. Aggiungo che l'arrivo di immigrati porta a qualche novità anche sul piano della composizione sociale, sia per la regione che per la città: il rapporto tra natalità e mortalità era sceso a 0,75 adesso è arrivato ad 1 rapidamente per effetto della presenza degli immigrati e si incrementerà.
Questi sono problemi che hanno bisogno di essere gestiti a livello amministrativo perché sono il frutto oggettivo di alcuni processi necessari ed auspicabili per mantenere il profilo e la qualità della vita che questa città ha sempre avuto. Il voto amministrativo fa parte del riconoscimento dei diritti anzi è diventato il valore simbolo di un sistema di diritti che definisce la cittadinanza. Credo siano molto utili i passi concreti che si possono fare partendo dagli statuti delle singole città per arrivare a riconoscere anche localmente, sia il voto per le città che quello per i quartieri che sono un sistema importante di partecipazione. Il tema della cittadinanza attraverso le forme partecipative ha bisogno di elementi di sostanza: la costruzioni di diritti che oggi non sono fruibili, il voto amministrativo e le politiche di accoglienza che siano funzionali al profilo della competizione che il sistema economico e sociale può avere. La diffusione di politiche positive aiuta non soltanto i singoli stati ma soprattutto la costruzione dell'Europa che vogliamo. Vanno benissimo anche gli esempi dei piccoli comuni, però la politica ha unefficacia anche mediatica quando si radica in città che hanno una visibilità, una storia. Bologna sotto questo profilo potrebbe fare e dire molto.
Intervento di Vasco Errani
Parto da quello che sta accadendo in Emilia-Romagna perché sono convinto che non vi sia la consapevolezza, soprattutto nei decisori responsabili delle scelte amministrative, del processo che è in atto nel nostro paese. Un paio di settimane fa Diamanti ha fatto una ricerca sulla percezione degli italiani sul tema dell'immigrazione e ha colto un dato reale: c'è una profonda evoluzione nel modo di percepire e guardare da parte dei cittadini italiani più positivo rispetto al passato. Guardiamo cosa succede in Emilia-Romagna, due dati che risolvono un interrogativo: oggi i cittadini stranieri rappresentano il 5% della popolazione, sette anni fa erano il 2%.
Dagli studi che stiamo facendo col nostro osservatorio viene fuori che alcuni settori produttivi nel giro di cinque anni, se non ci saranno cittadini di altre realtà che verranno a lavorare qui, si troveranno, per un problema di mano d'opera, a subire direttamente, a prescindere dalle evoluzioni economiche e tecnologiche, dei danni di crisi. Il 7% dei bambini che vanno nelle scuole primarie sono figli di cittadini stranieri. Questi dati ci dicono che la dimensione della società multietnica è già un processo radicato e che assumerà una velocità del tutto inedita, dato incontrovertibile. I processi di relazione di cittadinanza che stanno venendo avanti dal basso sono molto significativi, tuttavia ci troviamo di fronte ad un problema politico e culturale. C'è la necessità di aprire un confronto politico sul tema del modello sociale al livello nazionale ed europeo. Sulla Bossi-Fini dico che l'esperienza è peggio delle nostre attese e sta producendo due elementi preoccupanti: una nuova forma di clandestinità diffusa, collegata ad un processo di precarizzazione di chi non è clandestino, che sta producendo uno statuto giuridico diverso, processi di due società. Questo è quello che un impianto culturale della destra sta proponendo nel nostro paese, cioè di rispondere ai problemi e ai cambiamenti attraverso la costruzione di un sistema dove c'è una società più protetta che siamo noi e un'altra meno protetta che si affianca. Noi dobbiamo spostare il confronto sull'immigrazione dalla questione che riguarda la sicurezza e l'ordine pubblico ad una questione che guarda come saranno le nostre comunità, società fra dieci anni, non fra cento, e quale modello sociale noi vogliamo.
Due questioni dobbiamo prendere di petto: una riguarda il tema delle identità che stanno cambiando. Si pone il problema di difendersi e come difendere le identità: è una questione alla quale non possiamo rispondere con superficialità né atteggiamento ideologico. Dobbiamo approfondire questo tema e cercare di capire che cosa significhi valorizzazione le identità, la relazione tra le diverse identità, il rispetto delle culture, e con questa stessa chiave si può e si deve affrontare il tema dell'immigrazione. Seconda questione: le regioni hanno più competenze rispetto al passato, la nostra regione ha già in iter consiliare una nuova legge sull'immigrazione; siamo per ora l'unica regione, bisogna diffondere questa realtà. La scelta nella nuova legge è chiara e radicale: i cittadini stranieri non hanno dei percorsi propri, hanno e avranno i diritti e i doveri di questa regione, dal punto di vista dell'accesso, dell'utilizzo di tutti i servizi e le opportunità in relazione al diritto di cittadinanza per i residenti. Secondo obiettivo è promuovere la società multietnica dal punto di vista culturale, ma anche una vera è propria azione di promozione.
Sulla terza grande questione, il tema dell'accoglienza, serve davvero una battaglia nazionale perché una delle emergenze è certamente la questione della casa che non possiamo lasciare in mano alla logica per cui è l'imprenditore che garantisce il lavoro, il permesso di soggiorno, la casa. Questo da a lui troppo potere che lede i diritti di libertà. C'è un grande problema di risorse: una critica che non abbiamo fatto a sufficienza è il fatto che la legge Bossi-Fini non affronta in nessun modo il tema dell'accoglienza e il governo sta procedendo ad una progressiva riduzione di tutte le risorse destinate a politiche di sostegno sociale. Il tema dell'accoglienza diventa così un problema concreto: stiamo cercando di mettere risorse sulla politica della casa e degli affitti, ma certo non saremo in grado di far fronte al problema con la dimensione finanziaria di cui disponiamo. Credo sia opportuno cominciare a riflettere su questa emergenza nazionale: mi chiedo se non sia il caso di costruire un intervento legislativo nazionale di finanziamento alle politiche della casa.
Una grande battaglia che tutte le regioni stanno combattendo è il riconoscimento dei cittadini immigrati all'interno dei livelli essenziali di assistenza, anche prescindendo dal tema della regolarità: il governo risponde con un atteggiamento di totale chiusura.
Concludo col tema del voto agli immigrati: sono d'accordo a costruire esperienze dal basso, ma se ciò avverrà all'interno di un percorso costituzionale, i tempi saranno lunghissimi. Ci vuole uniniziativa parlamentare forte e stiamo verificando, anche per gli statuti regionali, gli spazi giuridici per dare un segnale. Andiamo a vedere se siamo di fronte a strumentalizzazione, mosse politiche per fare altre cose, oppure siamo di fronte ad un processo reale, che si vuole fare ed è possibile anche attraverso una legislazione ordinaria che ci consentirebbe di aprire una nuova stagione.
Intervento conclusivo di Tom Benetollo
Siccome Fini ha detto quello che ha detto, spetta a un campo di forze progressiste sociali, dentro le istituzioni, partendo dal territorio, vedere non solo le carte, ma di fargli utilizzare questo varco perché si arrivi al punto, cioè una legislazione ordinaria. Penso anche che ci impegneremo nella direzione indicata da Palombarini.
È importante rilanciare una vertenza casa; Sergio ha detto " i lavoratori si presentano nei posti di lavoro la mattina, la sera finiscono e si devono smaterializzare": è uno dei punti di fondo, se il tema della casa è uno dei momenti in cui si materializza il problema del cittadino immigrato e se tali sono i problemi sulle politiche, i movimenti dovrebbero porre delle vertenze concrete.
Infine credo che sia culturalmente e politicamente importante contrastare una spinta da destra conservatrice securitaria che tende a schiacciare la nostra capacità di iniziativa, però c'è anche un limite soggettivo nostro, noi ci sentiamo sulla difensiva. Se noi, la sinistra, i progressisti, le forze che puntano ai valori dell'uguaglianza, della con-cittadinanza ci impegniamo con battaglie, vertenze, con una strategia di consolidamento e di radicamento dei nostri valori, questa battaglia può essere vincente, non per darci coraggio, ma per porsi degli obiettivi con l'idea dell'Italia di domani, nel 2050, dove ci saranno 40 milioni di autoctoni e forse 15 milioni di immigranti. Questo è un investimento sul futuro, credo sia qualcosa con cui il paese ha bisogno di fare i conti, con i cittadini in carne ed ossa.
Se vogliamo lavorare ad un nuovo progetto c'è un punto politico molto forte che è il superamento dei cpt. Molte scelte sono state anche errori, possono essere state fatte in buona fede, però adesso le verifiche sono state tutte fatte. Bisogna avere il coraggio di guardare in avanti. Abbiamo una legislazione carente dai tempi della Martelli ad oggi; qualche sforzo è stato fatto, partiamo da quelli, gli impegni positivi che ci sono stati da parte di legislatori che hanno lavorato con integrità, con intelligenza. Adesso c'è bisogno di una legislazione nuova, di un corpus che parta dall'esperienza di questi anni, che raccolga idee e proposte che vengono da dentro e da fuori le istituzioni, che abbia una forte capacità di ascolto del mondo degli immigrati, della loro esperienza concreta, per avere una legge che dia strategia, posizionamento e consolidamento.
Prosegue >>>