I NOSTRI NO ALLA GUERRA

01-10-2002


I NOSTRI NO ALLA GUERRA

lettera di Tom Benettollo Pres. Nazionale Arci N.A.

Resta pochissimo tempo per scongiurare la guerra gravida di conseguenze devastanti, che si prospetta in Iraq. La scelta di Bush ha preso la forma più chiara, con un vero e proprio ricatto all'Onu. L' Onu, dice Bush, emani un ultimatum, perché gli osservatori si rechino in Iraq, potendo operare senza limiti. Se Saddam Hussein dirà di no, si cominci l'azione militare.Ma l'Iraq ha detto di si agli ispettori dell'Onu. Senza porre condizioni. Bush e Blair sono spiazzati. Il loro affondo taglia l'aria a vuoto. Ma la guerra non si allontana.
Un "trionfo di tromboni", come direbbe De Andrè, si è messo in moto. Una campagna mediatica di terrificante potenza è già in atto. Si sono scoperte cose raggelanti, circa la potenza militare dell'Iraq e le intenzioni di Saddam.
I principali argomenti appaiono i seguenti.
a) L'Iraq ha rapporti con terroristi di Al Queda. Finora è stato provato che questi rapporti sono stati assai labili. C'è inoltre il sospetto che le testimonianze date su questo siano state, per così dire, forzate. Altri paesi hanno ben più gravi responsabilità. A cominciare dall'Arabia Saudita, alleata degli Usa. Bin Laden e gran parte della leadership di Al Queda sono sauditi, come sauditi erano gran parte degli attentatori delle Twin Towers. Grandi finanziamenti venivano (vengono ancora?) dalle banche saudite. Inoltre l'Iraq non è un paese fondamentalista. La sua politica non si accorda affatto con quella avanzata da Al Queda. L'Iraq, storicamente, ha avuto parti minori nella tragedia del terrorismo. Certamente meno di altri paesi dell'area, che sono fuori del mirino.
b) L'Iraq rappresenta una minaccia militare. La cosa è negata dal capo degli osservatori Onu in Iraq, Scott Ritter. Ritter (che peraltro ha votato per Bush) è considerato uomo di assoluta integrità. Bene, le sue dichiarazioni pesano come macigni: non vi sono armi degne di essere considerate un pericolo. Non è vero che l' Iraq sia vicino alla costruzione di armi di distruzione di massa.
c) L'Iraq ha una politica aggressiva verso Israele. La propaganda del regime contro Israele ha contenuti abominevoli, con toni peraltro non molto diversi da altri paesi considerati moderati. Dal punto di vista concreto, questa aggressività è un puro ululato alla luna.
d) L'Iraq è una dittatura che opprime i cittadini iracheni, le minoranze religiose, i dissenzienti (ora che serve, ci si ricorda perfino che Saddam ha sterminato la sinistra negli anni settanta). Questa oppressione è particolarmente odiosa verso i Kurdi del nord del paese. Questo è vero. Saddam è un dittatore spietato, una figura orrenda, che nessuno si sogna di difendere, e tantomeno i movimenti per la pace. Ma le molte situazioni esistenti al mondo - ce ne sono di peggiori-non vengono affrontate con la guerra.

Ma di quale guerra si parla? Si parla della guerra preventiva. Un argomento di apparente buon senso. Perché se mi accorgo che un avversario sta per colpirmi, può essere legittimo per me (che oltretutto rappresento la democrazia, la libertà, e insomma il bene del mondo) colpirlo per primo.
E' evidente dove porta la dottrina della guerra preventiva. Porta alla generalizzazione della guerra. Perché sarà sempre possibile, tra due paesi avversari, trovarne uno più forte o aggressivo, pronto a dire: l'altro sta per aggredirmi. Thomas Hobbes scrisse il suo Leviatano proprio per scongiurare la guerra di tutti contro tutti. Sono passati secoli. Ma ora siamo alla vigilia di una stagione in cui si profila una tragica concatenazione di orrori. Un giacimento di guerre possibili viene alla luce. Possiamo seriamente pensare che ciò avvenga senza calcolo, per pura irresponsabilità? O non dobbiamo inclinare all'idea che un mondo imbarbarito abbia bisogno di un'autorità militare e politica tanto forte, da essere depositaria di un "potere totale"? Chi ama gli Stati Uniti deve combattere la logica dell'Impero. Essa sta uccidendo i valori e i fondamenti della Repubblica, in quel paese che ha fatto la prima rivoluzione democratica. Insomma: l'Impero contro la Repubblica…
La prospettiva di una crisi o di una instabilità economica a lungo termine, nella sua connessione con l'uso arbitrario della forza e della guerra, produce una regressione generale. Un'insicurezza che si intreccia alle dinamiche di un mondo denso di orribili disuguaglianze, con un progressivo impoverimento di risorse naturali. Per questo occorre una svolta di civiltà. Ci sono le forze per avanzare in questa direzione. Naturalmente tra immense difficoltà, questa prospettiva non è soltanto un desiderio, ma si concretizza in alternative possibili.
E' possibile colpire e stroncare il terrorismo. Con le leggi internazionali. Con azioni di polizia internazionale e non di guerra (non si dica che in realtà c'è poca differenza. La differenza è sostanziale). La nostra lotta contro il terrorismo è una lotta di cittadini, di società civile. Non c'entra con quella di Bush. E' una lotta che nasce dalla consapevolezza che il terrorismo colpisce la gente come noi ( i morti delle Twin Towers erano comuni cittadini, spesso lavoratori poveri e sfruttati). Colpisce la politica, la partecipazione (il terrorismo è una forma massima di espropriazione della politica).
Ma, se guardiamo lo scenario del mondo per come semplicemente è, non appare difficile pensare a ben altre cose che sono possibili. Ci sono, potenzialmente, le risorse (economiche e intellettuali) per sradicare la povertà, per stroncare le malattie, per dare istruzione per tutti. Per una qualità della vita che corrisponda a quanto descritto e prescritto dalla Dichiarazione dei diritti umani che l'Onu ha promulgato ancora nel 1948 (leggetela, portatela nei circoli, fatela girare nelle scuole). Non partiamo da zero. I lunghi percorsi della civilizzazione hanno prodotto idee, istituzioni, forse politiche e sociali. Non c' è solo l'arbitrio del più forte, la vecchia infame legge del potente che schiaccia il debole a seconda dei suoi interessi. Lo stato sociale-come lo stato di diritto -- è una prospettiva planetaria. Per primo in Italia, ce lo ha insegnato un vero amico dell'Arci (era iscritto,anche): padre Balducci, che ci manca così tanto --per il suo rigore, per la sua idea aperta del mondo, per la felicità che vedeva come qualcosa di palpabilmente possibile in questa terra. Ora, sono tanti a pensarlo. A vedere nei diritti democratici, sociali, civili, e in quelli del lavoro, dei pilastri che non devono incrinarsi.
E' mentre parliamo di questo, che dobbiamo confrontarci con una nuova guerra. La guerra non è un "altrove" rispetto a tutto ciò. E' una distorsione tremenda. Tanto più che non occorre essere profeti per prevedere grandi sofferenze, che si aggiungono, in Iraq, alle centinaia di migliaia di morti a causa dell'embargo. Non stiamo certo dalla parte di Saddam. Stiamo dalla parte della pace. E lo diciamo anche ai nostri amici kurdi, per i quali la nostra solidarietà è stata sempre molto chiara. Una solidarietà che confermiamo: i diritti del popolo kurdo sono calpestati. Non vengono riconosciuti nemmeno da quei paesi che - transitoriamente alleati ai kurdi-non sono però disposti a portare la causa kurda nelle sedi internazionali per una soluzione politica di questa drammatica vicenda. Ricordiamolo: della questione kurda non si è mai discusso nemmeno all'Onu, per l'opposizione dei paesi interessati e per i legami che questi paesi hanno avuto o hanno con grandi potenze (Turchia-Usa, più di tutti). Siamo all'uso strumentale dei kurdi. Mentre a tutti gli effetti è necessario individuare una soluzione stabile e accettabile dalle parti. Sul piano politico e istituzionale.
Una guerra in Iraq creerebbe sommovimenti gravi nella regione. Come dubitare che il contraddittorio processo di riforme in Iran sarebbe colpito, a favore delle parti reazionarie del regime degli ajatollah? E come non vedere, nel Medio Oriente, l'accendersi di una miccia che porta alla più orribile delle deflagrazioni? Ma il segnale al mondo arabo e islamico nel suo insieme avrebbe un'onda lunga di risentimento e di odio. Colpire l'Iraq, mentre i palestinesi non hanno ancora uno Stato (quello Stato promesso tante volte dalla comunità internazionale) non può che apparire una perfida, inaccettabile provocazione. E domandiamoci: come sapranno soppesare le nefaste opportunità della guerra preventiva la Russia (Cecenia, Caucaso, Asia Centrale); l'India e il Pakistan (nel loro storico, strisciante conflitto); la Cina (da Taiwan all'Afghanistan)? Sono solo esempi …
Tutto questo è drammaticamente chiaro. Per fortuna l'opinione pubblica - al contrario di altre occasioni-appare più avvertita, meno propensa a bersi la propaganda e le fandonie. Gli indici di contrarietà alla guerra sono confortanti. Ma sappiamo cosa possono i media, una volta indirizzati a convincere le gente che è una guerra giusta. Grazie alle "guerre giuste" degli anni passati, eccolo qui il mondo che hanno prodotto. Chi le ha condotte non merita certo molte congratulazioni.
Ora tutto è nelle mani del Consiglio di Sicurezza (Berlusconi lo chiama Consiglio Supremo: un lapsus indicativo del suo timore per il Consiglio Superiore della Magistratura?). Non sappiamo se terranno i veti finora dichiarati. Non sappiamo se i paesi arabi cederanno. Non sappiamo se, a un certo punto, quel grande paese che è fuori del Consiglio di Sicurezza, la Germania, vorrà tenere la sua posizione - davvero stimabile, finora. Sappiamo che questa guerra è sbagliata. Che produrrà sofferenze e disastri geopolitici. Che spingerà il mondo intero più avanti nell'uso arbitrario della forza. Lo sappiamo, e siamo sempre di più a saperlo. Lo diremo al Forum Sociale Europeo (7-10 novembre, a Firenze). Un Forum che dovrà saper esprimere il meglio della cultura della pace e della giustizia del nostro continente. Lo dimostreremo in manifestazioni e iniziative. E lavoreremo, nel concreto, per la solidarietà e la pace, nei nostri progetti che ci impegnano in tanti paesi, come Arci.
Chiediamo a tutti coerenza. Lo chiediamo anche ai partiti della sinistra e del centrosinistra. E' chiaro: sarà ben difficile realizzare la necessaria collaborazione tra soggetti differenti, sul terreno delle lotte sociali, se ci saranno ambiguità su un tema cruciale come quello della guerra. L'ondata di lotte deve essere unitaria. L'Arci farà la sua parte in questa direzione, ancora una volta.

Tom Benetollo
Presidente Nazionale Arci

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